Ein Hamburger Reisebericht

Universität Hamburg

di Rosaria Esposito

L’anno scorso, in occasione di un Convegno DAAD a Milano, venni a conoscenza di una nuova modalità di accesso alle borse di ricerca DAAD per gli ex Alumni.

La novità consisteva nel fatto che anche persone non necessariamente attive nel mondo accademico avrebbero potuto richiedere un sovvenzionamento per brevi periodi di ricerca. Tale iniziativa mi entusiasmò particolarmente in quanto, pur non avendo più legami con l’università, ho continuato negli anni a occuparmi di Letteratura e critica letteraria di tipo interculturale(1), interesse che, d’altronde, corrisponde ai presupposti didattici del mio lavoro: quello di insegnante di lingue, nello specifico tedesco e italiano per stranieri nella scuola pubblica italiana.

Dunque, come spiegò nel suo intervento Valentina Torri, direttrice del DAAD di Roma, bastava presentare un valido progetto di ricerca e avere un tutor disposto a dare ospitalità presso la propria istituzione. Il progetto di ricerca era già in nuce, frutto di osservazioni sul campo e dei miei studi sui processi di apprendimento di una lingua seconda su basi neuro-cognitive e psicologiche: a scuola avevo seguito alunni in laboratori di scrittura creativa in lingua tedesca e nei loro eleborati avevo potuto notare che nella seconda lingua esprimevano molto più agevolmente emozioni e vissuti che invece nella loro lingua madre avevano talvolta difficoltà a comunicare. Le stesse riflessioni, inoltre, le avevo potuto confermare in alunni di origini italiane grazie a un progetto europeo sul bilinguismo acquisito, attuato in una scuola italo-tedesca di Berlino(2): contenuti forti da un punto di vista emotivo, anche in questo caso, venivano meglio esternati nella lingua acquisita piuttosto che in quella madre(3).

Ho iniziato, allora, a leggere scrittori e scrittrici contemporanei che scelgono una seconda lingua come mezzo di espressione letteraria(4): per l’ambito tedesco mi riferisco alle produzioni di turchi, di italiani, di giapponesi e di autori di origini balcaniche (Oezdamar, Zaimoglu, Franco Biondi, Yōko Tawada, Saša Stanišić), mentre per l’italiano alle opere dello scrittore Nicola La Gioia, delle autrici Jhumpa Lahiri e Helena Janeczeck. Da queste letture, è nato l’interesse ad approfondire la problematica dello scrivere in una lingua seconda e indagare le implicazioni culturali, psicologiche e sociali che questa scelta comporta sia su un piano contenutistico che stilistico. Ho ritenuto, inoltre, necessario allargare il mio progetto di ricerca anche al linguaggio cinematografico, di matrice turco-tedesca per l’aspetto fortemente interculturale di tali produzioni, partendo dalle opere del regista amburghese di origini turche Fatih Akin(5). Da un punto di vista metodologico, la ricerca prevedeva due ambiti di osservazione. Da una parte, volevo approfondire la questione del binomio distanza/lingua basandomi sui più recenti studi neuro-cognitivi e psicologici riguardanti l’apprendimento di una seconda lingua; dall’altra, volevo indagare se, e in che modo, le diverse modalità di ricezione di una lingua seconda, cioè quelle dell’apprendimento e dell’acquisizione(6), potessero in un qualche modo influire sulle scelte stilistiche operate dagli scrittori. Dall’altra, mi sono posta come obiettivo anche l’appurare se e, come, queste scelte avessero apportato cambiamenti sull’impianto strutturale globale della lingua di accoglienza(7), determinando, di conseguenza, revisioni anche dal punto di vista del canone letterario(8). Tenendo presente, infine, la forte connotazione di interculturalità della letteratura contemporanea non solo tedesca ma europea in generale, sentivo troppo limitative le varie categorizzazioni a cui di volta in volta tale letteratura veniva sottoscritta: letteratura dei Gastarbeiter, letteratura dei migranti, e altre varie denominazioni insieme a premi istituiti solo per queste categorie e per fortuna non più esistenti, mi sembravano scelte restrittive, frutto di punti di vista troppo “occidentali”(9), non corrispondenti, secondo me, alla forte valenza espressiva e alla autenticità narrativa di tale letteratura nel contesto dei cambiamenti sociale e culturali a cui stiamo assistendo. Queste, dunque, le linee di partenza del mio progetto presentato al DAAD. Mi serviva ancora l’accoglienza di un tutor presso un’istituzione in Germania. Inizialmente ho cercato a Berlino, dove ero già stata grazie alle due borse DAAD, per poi trovare ospitalità ad Amburgo presso l’Università centrale. Qui, sono stata accolta e seguita dalla Prof. Ortrud Gutjahr che non conoscevo personalmente: avevo letto il suo profilo scientifico e la mia ricerca rientrava nei suo filone di studi(10); dopo averle mandato la richiesta di ospitalità insieme al mio piano di studi, ho ottenuto subito la sua disponibilità a ospitarmi all’Università di Amburgo nonché il suo prezioso ausilio scientifico nel superare dubbi e incertezze che talvolta si presentavano durante la ricerca , ma anche nell’individuare nuovi e fruttuosi spunti e prospettive di indagine.

Il mio viaggio, tuttavia, non ha potuto non prevedere una breve sosta a Berlino: ho anticipato la partenza a fine Luglio per stare un poco di tempo là, in quella che è stata fin dagli anni ’90 la mia città di elezione culturale, il luogo dove tornare sempre ma che non ho mai scelto come mia dimora definitiva. Il caldo di quel Sabato mattina di fine Luglio sulla Oranienstrasse era soffocante. In ogni angolo, a ogni mio passo sull’asfalto rovente, notavo come questa città stesse ancora mutando costantemente la sua pelle in un percorso oramai trentennale : qui, dove negli anni ’90 ritrovavo la cultura di opposizione, quella che faceva di Kreuzberg la zona franca, dove Potsdamerplatz era solo una spianata di terra battuta dove tutto sarebbe potuto accadere, ho visitato negozi di abbigliamento artigianali del tipo Berliner Style, gallerie d’arte, ho visto gli ometti del semaforo diventati gadget turistici. E loro, i turisti, incontrati in tanti, ovunque, italiani soprattutto, ma non solo, che mi rendevano i posti a me così cari, “non luoghi”(11) senz’anima. La mia meta era la libreria “Dante connection”, tappa fissa dei miei ricorrenti periodi berlinesi e che già ai tempi delle mie borse da studente, mi fu preziosa per i libri di favole in italiano che alleggerivano il freddo inverno berlinese a me e al mio bambino: ero, infatti, una giovane mamma studentessa e mio figlio mi ha sempre accompagnato durante i miei studi in Germania fin dalla primo soggiorno nel lontano 1991. Ricordo che inizialmente mi spaventava l’idea di partire con un marmocchio di appena pochi mesi. Appena arrivata a Berlino, invece, mi si presentò una situazione che mai avrei potuto immaginare possibile dalla mia cittadina del Sud da cui provenivo: nel corso c’erano altre mamme con bambini piccoli, addirittura qualcuno di loro li portava con sé all’Università. E non era finita qui. L’Università aveva un nido e un asilo, il DAAD offriva un ausilio economico ai borsisti con figli e Berlino aveva bellissime strutture, intere case fatte a misura di bambini con soli 12 alunni, a cui si accedeva partecipando alla spesa con ragionevoli quote mensili e qualche lavoretto periodico come cucinare o pulire all’interno stesso della struttura…

Comunque, dicevo, anche questa volta, la visita alla libreria della Orianenstrasse non mi ha deluso: il suo angolo più esterno offriva una vasta scelta di letteratura contemporanea in lingua tedesca di autori e autrici di origini non tedesche. La mia ricerca è iniziata già in questo afosa mattinata di Luglio quando mi sono imbattuta in un romanzo dalla copertina gialla, il cui titolo mi parlava dell’ Europa e della sua estate più lunga. Era il romanzo di Maxi Obexer Europas Laengster Sommer(12) che ho letto tutto di un fiato quello stesso pomeriggio, raggomitolata in una sedia a sdraio di uno di quei localini sulla Spree, dove puoi vedere anche la spiaggia e immaginare il mare.

Non conoscevo l’autrice, ma rientrava nel campo della mia ricerca sia per le sue origini, sia per le problematiche trattate nei suoi scritti: avrei letto il resto della sua produzione una volta arrivata ad Amburgo. Berlino non mi aveva tradito: come sempre, anche questa volta, la mia città di adozione culturale mi aveva indirizzato, stuzzicando la mia curiosità intellettuale. E ora, più che mai, riconoscevo la contraddizione alla base del mio amore per essa: così lontana dai paesaggi meridionali nei quali sono cresciuta e che da sempre sono stati il vero impedimento e limite ad una mia reale migrazione, mi è diventata nel tempo sempre più “familiare”, vicina, “necessaria” alla mia migrazione culturale e ricerca identitaria grazie ai continui stimoli che adesso, come sempre, continua a offrirmi ogni qual volta io vi faccia ritorno.

E con questo nuovo bagaglio – inteso sia in senso simbolico che letterale, visto la quantità di libri acquistati nella libreria della Oranienstrasse – ho preso un treno per Amburgo. Non conoscevo la città se non attraverso la letteratura e il cinema. Il quartiere di Altona non poteva non ricordarmi Fatih Akin la cui immagine su un manifesto attaccato alla porta dello studio della mia Betreuerin amburghese, mi ha dato il benvenuto. Non nascondo di aver passeggiato più volte sulla strada principale di Altona con la speranza di incontrarlo, visto che voci all’università dicevano che non era insolito vedere il regista in giro nel suo quartiere. Non ho incontrato Fatih ma Wim Wenders! Come quasi tutte le sere, stanca e accaldata mi sono ritrovata nella platea dell’Abaton Kino: sapevo solo che davano l’ultimo film del regista che avrebbe incontrato il pubblico in sala a fine proiezione. Ed ecco che la mia città di elezione ritornava, richiamandomi a sé: ovvio e scontato che possa essere, non ho potuto fare a meno di pensare all’angelo del cielo sopra Berlino. Intanto, la mia ricerca continuava: un mese era il periodo da me richiesto per la ricerca, ma più andavo avanti, più mi rendevo conto che avevo sbagliato il calcolo: avrei avuto bisogno di almeno un altro mese di permanenza. Per fortuna la biblioteca chiudeva a mezzanotte anche ad Agosto e si trovava a soli 10 minuti a piedi dalla foresteria per professori della Rothenbergerstrasse dove ero ospitata. E’ qui che ho iniziato ad approfondire gli studi sulle minoranze linguistiche dei territori italiani di confine, in specifico quelli dell’Alto Adige, la storia di questa regione spesso dimenticata dai libri scolastici e la produzione in tedesco dell’altoatesina Maxi Obexer. Ho potuto incontrare la scrittrice recentemente a Berlino in occasione della commemorazione del centenario della morte di Rosa Luxemburg. Da questo incontro e dalle ricerche di Amburgo è nata l’idea dell’articolo che appronterò a breve “Maxi Obexer, Francesca Melandri: i luoghi delle migrazioni”, nonché la volontà di invitare la scrittrice in Italia, magari a Napoli per una Lesung dal suo romanzo-saggio con il patrocinio dell’Università Orientale di Napoli e il Goethe-Institut.

Per quanto riguarda invece l’aspetto della critica letteraria, ho trovato validi spunti per le mie prossime ricerche nei contributi di due studiosi italiani, Armando Gnisci(13) e Carmine Chiellino(14) che si occupano da anni della questione interculturale e di una possibile definizione della letteratura a lei legata. Ho intenzione di continuare il filone di ricerca sugli scrittori di origini italiane che scrivono in tedesco: Chiellino parla di due fasi di sviluppo di questo filone fermandosi ai primi anni ’90: ma cosa è successo dopo? Cosa è stato pubblicato in lingua tedesca dai giovani della generazione Erasmus di origine italiana? E’ a questa ricerca che mi dedicherò quest’estate.

Ringrazio sentitamente il DAAD per l’opportunità concessami, e l’ADIT, la nostra seconda casa, per il sostegno: questo soggiorno in Germania mi ha permesso non solo di portare avanti il mio piano di lavoro, ma, allo stesso tempo, di suggerirmi nuovi e stimolanti spunti per le mie ricerche future.


  1. Convinta che barriere e stereotipi possano essere superati solo con la conoscenza delle molteplici sfaccettature sia culturali che sociali dell’altro e del diverso da sé, ho rivolto da sempre le mie curiosità intellettuali verso studi che riguardassero ambiti di ricerca in tal senso. I miei studi universitari, infatti, si svilupparono su un doppio binario: da una parte la cultura europea con lo studio della Germanistica e dall’altra quella orientale, e nello specifico la cultura e la lingua giapponese. Anche se già nellamia tesi di laurea, analizzando gli scritti teorici di Friedrich Hebbel, mi concentrai essenzialmente sulla problematica di genere e del diverso da sé riflesso nella figura della donna nei drammi dello scrittore, è solo più tardi che ho iniziato ad occuparmi di studi interculturali. Venni a conoscenza degli scambi culturali tra il Giappone e la Germania guglielmina grazie agli scritti di Flavia Arzeni (Libellule e tamburi: echi giapponesi nella Germania guglielmina In: Il paese altro- Presenze orientali nella cultura tedesca moderna. A cura di M. De Agostini, Napoli 1983 e L’immagine e il segno. Il giapponismo nella cultura europea tra Ottocento e Novecento. Ed. Il Mulino, 1987) che, nonostante si concentrassero prevalentemente sull’aspetto storico-artistico, mi diedero poche, ma preziose informazioni su interferenze anche di tipo letterario. Ciò mi consentì di approntare un progetto di ricerca sulle influenze della poesia Haiku sulle opere di Rainer Maria Rilke durante il mio secondo soggiorno di ricerca in Germania per il tramite del DAAD. Nello stesso periodo conobbi gli scritti in tedesco dello scrittore giapponese Mori Ōgai, primo spunto di riflessione circa le questioni dell’uso di una lingua seconda come mezzo di espressione letteraria.
  2. Il progetto era finanziato dalla CGIL con sede a Francoforte ed aveva due indirizzi: il primo era destinato ad alunni dai 6 ai 12 anni a cui si potenziavano le basi del tedesco, il secondo, invece, prevedeva l’ ampliamento delle conoscenze dell’ italiano ed era destinato ad alunni dai 12 ai 18 anni con almeno un genitore di origini italiane.
  3. Molte delle famiglie italiane parlavano in casa solo il dialetto, con difficoltà ad usare l’italiano standard.
  4. Ho conosciuto l’ aspetto della letteratura tedesca concernente l’incontro tra culture diverse già a partire dagli studi universitari : mi riferisco soprattutto alla cultura ebraica e agli scrittori ebrei di lingua tedesca, dalla produzione kafkiana fino a quella più recente di Maxim Biller conosciuto in un seminario a Berlino curato dal Prof. Scherpe.
  5. Nato ad Amburgo da genitori turchi emigrati in Germania negli anni ’60, già dagli anni’ 90 ha esordito come regista ottenendo prestigiosi riconoscimenti. La sua produzione si contraddistingue per la valenza di protesta sociale e per la sensibilità verso le minoranze. Tra i suoi film sia “La Sposa turca” che “Solino” sono tra i materiali da me usati per il programma di Landeskunde sulla metropoli tedesca contemporanea e della suo aspetto interculturale.
  6. Franco Fabbro, Elisa Cargnelutti, Neuroscienze del bilinguismo. Il farsi e disfarsi delle lingue. Ed. Astrolabio, 2018
  7. Uwe Hinrichs, MultikultiDeutsch. Wie die Migration die Deutsche Sprache verändert, Ch.Beck Verlag, 2013
  8. Bruno Brunetti, Roberto De Robertis, Identità, migrazioni e post-colonialismo in Italia. A partire da Edward Said. Progedit, 2014
  9. Edward Said, Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, Feltrinelli 1991
  10. Direttrice del dipartimento di scienze della comunicazione e letteratura interculturale all’Università di Amburgo. I suoi ambiti di studi sono la letteratura moderna e interculturale, il cinema interculturale, le forme di drammatizzazione nel teatro e gli studi turco-tedeschi oltre che agli studi di genere e teorie della ricerca teatrale, psicoanalisi e letteratura, teorie dell’ interculturalità del Moderno.
  11. Marc Augé, Disneyland e altri non luoghi, Torino 1999
  12. Verbrecher Verlag, Berlino, 2017
  13. Professore di letteratura Comparata alla Sapienza di Roma si è dimesso volontariamente dall’ Università nel 2010 continuando a lavorare come critico letterario. Fondamentali sono i suoi studi sulla letteratura transculturale in italia e in Europa.
  14. Professore di letteratura comparata presso l’università di Augsburg fino al 2011, si è da sempre interessato di autori che scrivono in una seconda lingua. Lui stesso, scrive e pubblica in lingua tedesca. Continua a lavorare come scrittore e critico letterario: si deve a lui la definizione di Interculturalità per designare produzioni letterarie in una lingua seconda.